Dopo il voto
del 25 settembre 2022.
Pubblicato
il 6 ott 2022
Documento approvato dalla Direzione
Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Le elezioni
del 25 settembre ci consegnano un Paese in cui per la prima volta nella storia
repubblicana il partito più votato è erede della formazione storica dei
nostalgici del fascismo con la loro fiamma nel simbolo. La maggioranza di seggi
conquistati nel parlamento non è conseguenza di una crescita impetuosa del
consenso verso il complesso della destra. Piuttosto, è avvenuta una
redistribuzione del voto all’interno della coalizione che già con Salvini aveva
assunto negli anni scorsi un profilo di ultradestra trumpiana e lepenista.
La destra
non ha conquistato la maggioranza dei voti, ha vinto elezioni caratterizzate
dall’ulteriore crescita dell’astensionismo. Siamo di fronte a dati che
riflettono la profonda crisi sociale e democratica: l’affluenza più bassa nelle
elezioni politiche (63.9%) e il maggior calo della partecipazione al voto
rispetto alla precedente tornata (oltre
il 9%) nella storia repubblicana. Dopo anni di politiche neoliberiste, di
svuotamento della democrazia costituzionale e di cancellazione di
un’alternativa di sinistra, è cresciuto enormemente il distacco delle classi
popolari dalla politica e dalla rappresentanza. La vittoria della fiamma
tricolore è il risultato di un processo di lunga durata di sdoganamento del
fascismo e revisionismo storico, di un trentennio di bipolarismo e soprattutto
dell’ultimo decennio di governi con dentro il PD. L’affermazione di Fratelli
d’Italia non va sottovalutata perché non è un episodio isolato, ma si inserisce
in un contesto europeo e internazionale che ha visto nell’ultimo decennio la
crescita globale dell’ultradestra, dagli Stati Uniti al Brasile e in molti
Paesi europei.
In Italia
però i dati dicono chiaramente che non siamo di fronte a un’onda nera. La
percentuale delle astensioni è più alta di quella ottenuta complessivamente
dalla coalizione di destra che non ha ottenuto nemmeno la maggioranza dei voti.
Va ribadito con nettezza che la vittoria di Giorgia Meloni è conseguenza delle
scelte elettorali del PD e di una legge elettorale su cui chiese la fiducia il
governo Gentiloni e che Enrico Letta ha deciso di non modificare facendo un
patto con la leader della destra. Con una legge elettorale proporzionale non ci
sarebbe un governo guidato da Giorgia Meloni.
Questa legge
elettorale palesemente incostituzionale e antidemocratica non solo ha
consegnato alla destra una maggioranza che non ha nel Paese, ma ha negato
rappresentanza a 2.817.883 elettori pari al 10,47% dell’elettorato.
Il profilo
di Fratelli d’Italia è caratterizzato dai temi condivisi con la Lega di
Salvini: xenofobia, razzismo, “guerra culturale” contro diritti delle donne e
lgbtqi, politiche sicuritarie, rottura dell’unità del Paese e dei principi di
uguaglianza. Sono state però accantonate le velleità sovraniste di rottura con
l’Unione Europea, dentro la quale cresce il peso delle forze nazionaliste di
destra ed è palese la volontà di rassicurare l’establishment economico italiano
e internazionale. E’ totale l’allineamento con gli USA e la NATO. Nonostante la
demagogia populista, l’estrema destra che torna al governo non è antisistemica
sul piano economico e sociale, né su quello della collocazione internazionale.
Per questo Clinton e Draghi prima del voto hanno pubblicamente legittimato la
nascita di un esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
La sconfitta
del PD non è un dato che può essere attribuito soltanto a scelte sbagliate
contingenti. Siamo di fronte al fallimento dell’intero progetto fondativo,
dall’impianto programmatico neoliberista e della identificazione subalterna con
la governance europea e atlantica. La composizione sociale del voto al PD è il
risultato delle politiche antipopolari che hanno caratterizzato la storia del
centrosinistra.
La tragedia
italiana è che per milioni di persone la sinistra continua a identificarsi con
il PD, con le conseguenze che sono ormai evidenti. Lo stesso relativo successo
della lista di Si-Verdi come formazione alleata del PD è stato alla base della
mancata aggregazione di un polo alternativo di sinistra.
In assenza
di una sinistra autonoma, forte e percepibile a livello di massa, il M5S di
Conte è diventato il riferimento per un’area consistente di elettori di
sinistra, nonostante il trasformismo e le contraddizioni che lo hanno
caratterizzato negli ultimi 5 anni di ininterrotta presenza al governo. Il
successo nel meridione, come partito del reddito di cittadinanza, ha cancellato
il dato dell’enorme crollo del consenso rispetto al 2018. Il M5S continua a
occupare in forme nuove lo spazio della protesta e dell’alternativa, ma con
caratteristiche diverse da quelle originarie del “né di destra, né di
sinistra”. Il suo riposizionarsi come forza “progressista” è sicuramente stata
una scelta elettorale forzata, ma con un governo di destra non può che essere
confermata.
I dati
elettorali confermano che in questo paese c’è bisogno di una sinistra popolare
e di classe. Purtroppo l’insuccesso della nostra proposta di Unione Popolare
fotografa la realtà dei rapporti di forza.
La crisi di
governo e le elezioni anticipate, che ci hanno colto in ritardo nella
costruzione di un progetto politico unitario della sinistra di alternativa, ci
hanno impedito di sviluppare il progetto che era faticosamente partito il 9
luglio e che avrebbe avuto bisogno di mesi di tessitura, interlocuzioni,
radicamento nel Paese per arrivare alla scadenza elettorale con qualche
possibilità di affermazione. Siamo precipitati in una forsennata corsa per la
composizione delle liste, la raccolta delle firme e poi la campagna elettorale
che nonostante la generosità e l’impegno militante, non poteva non essere in
salita.
Vanno
ringraziate/i tutte le compagne e i compagni che hanno garantito il successo
non scontato della raccolta delle firme e poi una campagna rapidissima, che
aveva suscitato anche aspettative superiori al risultato raggiunto.
Lo spazio
politico per la nostra lista si è ristretto per la configurazione che ha
caratterizzato la campagna: rottura del PD con il M5S che ha recuperato proprio
grazie alle polemiche degli avversari un’immagine di radicalità e alterità che
aveva smarrito; rottura di Calenda che ha reso più digeribile la scelta di SI e
Verdi di alleanza col PD. Il successo di Conte e del M5S nelle regioni meridionali
ha chiuso lo spazio per Unione Popolare, nonostante la candidatura di Luigi de
Magistris persino in regioni come la Calabria, dove solo un anno fa aveva
raccolto quasi il 17%.
La nostra
debolezza non ci ha consentito di diventare punto di riferimento percepibile
dall’elettorato popolare e soprattutto di raggiungere l’area
dell’astensionismo, mentre altre opzioni, seppur meno coerenti della nostra,
sono apparse più efficaci anche per i settori più politicizzati e informati di
sinistra, ambientalisti e pacifisti.
Abbiamo
pagato anche questa volta l’ostracismo dei media – la pressocchè totale assenza
dai telegiornali che rappresentano ancora il principale canale di orientamento
dell’elettorato – anche se il portavoce Luigi de Magistris è riuscito a
conquistare uno spazio nei talk sicuramente maggiore rispetto a quello a cui
siamo abituati. Ancora una volta, ci siamo ritrovati nella difficoltà di far
conoscere un simbolo e una proposta politico-programmatica nuova a vasti
settori dell’elettorato soprattutto popolare.
Hanno pesato
fortemente l’eredità delle sconfitte precedenti e gli stessi sondaggi. Il
dubbio che Unione Popolare non potesse superare la soglia del 3% ha indotto una
parte consistente dell’elettorato potenziale verso il M5S o la lista Si-Verdi.
Nei comportamenti dell’elettorato pesa la questione dell’efficacia del voto e
non solo nei termini del cosiddetto “voto utile” contro la destra.
Ma ancora
più di tutto questo ha pesato l’assenza di un movimento sociale generalizzato.
Una nuova rappresentanza politica a sinistra si alimenta e vive innanzitutto
dell’apertura di una contesa sociale nel Paese, più che di un’azione
propagandistica, elettorale o della personificazione di una operazione
politica. Da qui dobbiamo ricominciare, da campagne contro la guerra, il
carovita, l’impoverimento sociale per la ricostruzione possibile e necessaria
di una forza di alternativa
Il risultato
insoddisfacente non cancella il fatto che senza il progetto di Unione Popolare
non avremmo certo registrato migliori risultati nella collocazione di
alternativa e rottura che abbiamo scelto da anni e confermato all’ultimo
congresso. Basti pensare ai risultati delle ultime tornate amministrative e regionali
In ogni caso
non vanno dispersi la disponibilità all’impegno, la simpatia, il consenso e
anche l’entusiasmo che si sono coagulati intorno a Unione Popolare. Se Unione
Popolare sparisse dalla scena sarebbe una sconfitta ben più grave di quella
elettorale.
Il percorso,
nato dalla convergenza tra il nostro partito, Potere al Popolo, DeMa, le
parlamentari di ManifestA, e altre formazioni e tante/i intellettuali e
attiviste/i va proseguito ed allargato, valorizzando i primi passi compiuti con
la campagna elettorale, promuovendo da subito momenti assembleari territoriali,
in un processo che sia di partecipazione democratica.
Intorno al
progetto di Unione Popolare si è aggregata un’area di disponibilità all’impegno
più larga dei partiti che hanno promosso l’aggregazione e soprattutto energie
intellettuali, attiviste/i, giovani. Un’area che va appieno coinvolta.
Il percorso
va proseguito riprendendo immediatamente l’iniziativa politica e sociale in
questo autunno segnato dall’escalation della guerra, dalla crisi sociale
prodotta dal caro bollette e dall’inflazione, dalla stessa nascita di un
esecutivo di destra. Unione Popolare deve dimostrarsi utile come soggetto e
spazio unitario dell’opposizione più conseguente e coerente al governo di
destra e voce del malessere delle classi popolari.
Non si
tratta di costruire un nuovo partito e di sciogliere le organizzazioni
esistenti. Un dibattito di questo genere produrrebbe, tra l’altro, un dibattito
tutto interno, invece dell’iniziativa e delle interlocuzioni di cui c’è bisogno
per rafforzare il progetto e radicarlo nel paese. Le nostre coordinate sono
contenute nelle tesi approvate all’ultimo congresso: lavoriamo per un movimento
plurale dentro al quale trovare le forme in cui la convergenza delle
soggettività organizzate, la partecipazione, l’elaborazione comune possano
svilupparsi.
E’ evidente
che le modalità attraverso le quali strutturare e far vivere l’Unione Popolare,
oltre che a un approfondimento da parte del nostro Partito, vanno pensate e
concordate insieme a tutte le soggettività che hanno concorso alla creazione di
questo spazio di confluenza che già ha assunto nel Paese durante la campagna
elettorale una riconoscibilità come soggetto politico unitario. La
disponibilità di una figura di portavoce come Luigi de Magistris rimane una
risorsa per Unione Popolare, che ora potrà finalmente procedere a quel percorso
democratico, partecipato, orizzontale, includente e aperto che non è stato
possibile a causa della precipitazione elettorale. Lo stesso rapporto con le
tante lotte e vertenze va sviluppato nella pratica della convergenza, che
riguarda aree molto più vaste di quelle già impegnate in Unione Popolare.
Il nostro
partito è chiamato a svolgere un ruolo essenziale di elaborazione e iniziativa
dentro la fase che si è aperta.
La
riorganizzazione e il rafforzamento del partito è questione essenziale, che si
pone in relazione con il progetto di Unione Popolare e la costruzione
dell’opposizione sociale e politica. A tal proposito la Direzione Nazionale
impegna il Partito a riavviare nei territori il percorso relativo allo
svolgimento della Conferenza Nazionale di Organizzazione da tenersi nelle
giornate del 14 e 15 gennaio sulla base del mandato e dei documenti già
approvati, tenendo altresì conto delle novità di quadro politico e sociale e
dei nuovi compiti che fanno seguito al risultato elettorale.
Anche se ci
saranno molti elementi di continuità con l’agenda dei governi precedenti,
bisogna avere la consapevolezza che con un governo così marcatamente di destra
si riconfigura l’intero campo dello scontro politico.
La crisi
della sinistra è tale che, pur in presenza del palese fallimento del modello
neoliberista, della crisi ecologica e economica e della guerra, non si
sviluppano movimenti di massa in grado di cambiare l’agenda del Paese e
dell’Europa.
Una sinistra
con un punto di vista anticapitalista, ambientalista, femminista,
intersezionale, è quanto mai necessaria di fronte a un governo che porterà
avanti una miscela di populismo reazionario e neoliberismo.
Nella
costruzione dell’opposizione vanno evitati due errori speculari: quello della
subalternità alle forze che punteranno a una nuova soluzione tecnocratica, con
la riedizione di un frontismo di centrosinistra senza contenuti di alternativa
e quello della sottovalutazione della specificità e dell’aggressività della
destra fascistoide.
Il risultato
elettorale conferma la necessità di costruire una coalizione popolare e contro
la guerra che avevamo proposto dopo la crisi di governo e da questo punto di
vista va rilanciata la nostra iniziativa a partire dai contenuti
dell’opposizione al governo.
La
costruzione di un movimento contro la guerra e contro il carovita è il terreno
immediato su cui mobilitarsi e su entrambi i temi è evidente la necessità di
una rottura con le politiche perseguite dai governi degli ultimi decenni.
Lavoriamo per lo sviluppo della campagna “noi non paghiamo” e più in generale
contro il caro-bollette.
La Direzione
Nazionale impegna la Segreteria Nazionale nella prosecuzione
dell’interlocuzione con le altre componenti di Unione Popolare per individuare
i prossimi passaggi e consegna alla discussione del partito e del prossimo
Comitato Politico Nazionale la prosecuzione del confronto sulla fase politica e
i nostri compiti.
La Direzione
Nazionale impegna tutto il partito in vista delle scadenze nazionali già
fissate di mobilitazione, a partire dalla manifestazione nazionale della Cgil
di sabato 8 ottobre, la manifestazione di Bologna del 22 ottobre, le
manifestazioni a Napoli e Roma del 5 novembre, lo sciopero dei sindacati di base
del 2 dicembre, nel rilancio delle campagne per una legge elettorale
proporzionale e contro ogni autonomia differenziata.
La Direzione
Nazionale esprime la solidarietà e sostegno del PRC alla mobilitazione delle
donne e dei giovani contro la repressione e l’oscurantismo del regime
teocratico iraniano e alla resistenza del popolo e in particolare delle donne
curde, che continuano a essere bersaglio del terrorismo di stato del regime di
Erdogan.
Di fronte
all’escalation bellica la Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista
rilancia la proposta a tutti i partiti, i sindacati, i movimenti, le
associazioni, le reti schierate contro l’invio delle armi e per una soluzione
di pace, di convocare una grande manifestazione contro la guerra e di proporre
alla Sinistra Europea di lavorare per una giornata di mobilitazione
internazionale.
Costruiamo
l’Unione Popolare contro la destra, la crisi e la guerra!
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